56 anni fa il Comandante Ernesto Che Guevara veniva assassinato in Bolivia

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Ernesto “Che” Guevara

Oggi ricorre il 56° anniversario dalla morte del “Che”, il poeta ribelle. Sono passati cinquantasei anni da quel 9 ottobre 1967, quando un cecchino dell’esercito boliviano lo assassinò colpendolo a morte, crivellandolo di pallottole su una panca della scuola di La Higuera, in Bolivia, dopo che aveva trascorso una notte in agonia per una ferita subita durante la cattura il giorno precedente.

Nell’ottobre del 1967, il quotidiano argentino El Clarín annunciava, con informazioni delle agenzie di stampa Reuters, AFP e AP, la notizia che fece il giro del mondo:

“Il famoso guerrigliero argentino Ernesto ‘Che’ Guevara, compagno d’armi di Fidel Castro, la cui presenza in Bolivia, dopo la sua inaspettata scomparsa dalla scena politica cubana, era stata più volte segnalata dal governo boliviano, era stato ucciso in uno scontro tra forze militari e un gruppo di guerriglieri nella città di Las Higueras, vicino a Vallegrande”. La notizia, annunciata dal generale Zenteno Anaya, non è ancora stata confermata ufficialmente e si attende ancora l’identificazione dei guerriglieri morti”.

Per quelli di noi che sono guevaristi e rivoluzionari che portano il Che nel cuore, Guevara rappresenta un simbolo dell’impegno politico rivoluzionario.

Sono trascorsi 56 anni dalla scomparsa ma la sua leggenda non è stata minimamente intaccata dal passare del tempo, anzi.

Il nostro Circolo, il Circolo “Che Guevara”, del Partito della Rifondazione Comunista di Cinisello Balsamo vuole ricordarlo citando uno scritto del grande narratore Italo Calvino.

Nadia Rosa

Calvino scrisse questo testo pochi giorni dopo la morte del “Che”.

“Qualsiasi cosa io cerchi di scrivere per esprimere la mia ammirazione per Ernesto Che Guevara, per come visse e per come morì, mi pare fuori tono.

Sento la sua risata che mi risponde, piena d’ironia e di commiserazione. Io sono qui, seduto nel mio studio, tra i miei libri, nella finta pace e finta prosperità dell’Europa, dedico un breve intervallo del mio lavoro a scrivere, senza alcun rischio, d’un uomo che ha voluto assumersi tutti i rischi, che non ha accettato la finzione d’una pace provvisoria, un uomo che chiedeva a sè e agli altri il massimo spirito di sacrificio, convinto che ogni risparmio di sacrifici oggi si pagherà domani con una somma di sacrifici ancor maggiori.

Guevara è per noi questo richiamo alla gravità assoluta di tutto ciò che riguarda la rivoluzione e l’avvenire del mondo, questa critica radicale a ogni gesto che serva soltanto a mettere a posto le nostre coscienze.

In questo senso egli resterà al centro delle nostre discussioni e dei nostri pensieri, così ieri da vivo come oggi da morto. E’ una presenza che non chiede a noi né consensi superficiali né atti di omaggio formali; essi equivarrebbero a misconoscere, a minimizzare l’estremo rigore della sua lezione. La “linea del Che” esige molto dagli uomini; esige molto sia come metodo di lotta sia come prospettiva della società che deve nascere dalla lotta. Di fronte a tanta coerenza e coraggio nel portare alle ultime conseguenze un pensiero e una vita, mostriamoci innanzitutto modesti e sinceri, coscienti di quello che la “linea del Che” vuol dire – una trasformazione radicale non solo della società ma della “natura umana”, a cominciare da noi stessi – e coscienti di che cosa ci separa dal metterla in pratica.

La discussione di Guevara con tutti quelli che lo avvicinarono, la lunga discussione che per la sua non lunga vita (discussione-azione, discussione senza abbandonare mai il fucile), non sarà interrotta dalla morte, continuerà ad allargarsi. Anche per un interlocutore occasionale e sconosciuto (come potevo esser io, in un gruppo d’invitati, un pomeriggio del 1964, nel suo ufficio del Ministero dell’Industria) il suo incontro non poteva restare un episodio marginale.

Le discussioni che contano sono quelle che continuano poi silenziosamente, nel pensiero. Nella mia mente la discussione col Che è continuata per tutti questi anni, e più il tempo passava più lui aveva ragione.

Anche adesso, morendo nel mettere in moto una lotta che non si fermerà, egli continua ad avere sempre ragione.

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