Gli USA diffamano Cuba inserendola nella lista dei Paesi che non lottano contro il terrorismo, ma sono gli stessi USA a rendersi protagonisti di incresciosi atti di terrorismo.

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Lo scorso 12 maggio, il Dipartimento di Stato ha notificato al Congresso degli Stati Uniti che l’Iran, la Corea del Nord, la Siria, il Venezuela e Cuba sono stati classificati come Paesi “non completamente cooperanti” nella lotta contro il terrorismo. L’isola caraibica, in particolare, viene reinserita nell’elenco cinque anni dopo che Barack Obama aveva provveduto a cancellare il suo nome dalla lista diffamatoria. La mossa di Obama aveva allora messo fine ad un’ingiustizia durata 33 anni, visto che Cuba era stata inserita per la prima volta nell’elenco nel 1982, sotto la presidenza di Ronald Reagan.

Innanzi tutto, il fatto stesso che un Paese si permetta di stilare una tale lista riguardante l’intera comunità mondiale, dovrebbe destare sdegno in qualsiasi persona dotata di buon senso. Qualora ve ne fosse bisogno, dovrebbe essere un organismo super partes, come le Nazioni Unite, a fare dichiarazioni di questo tipo, non certo un Paese che da decenni utilizza la scusa del “terrorismo” per perseguire le proprie politiche imperialiste su tutto il globo, seminando morte e distruzione mentre dichiara di volerle evitare.

In secondo luogo, tale intervento appare doppiamente inopportuno dopo l’attentato di cui è stata vittima l’ambasciata cubana a Washington, il 30 aprile scorso, le cui cause vanno ricercate anche nel’atteggiamento dell’amministrazione di Donald Trump. Invero, l’annuncio sembra essere una sgangherata risposta all’intervento del ministro degli esteri de L’Avana, Bruno Rodríguez Parrilla, che poche ore prima aveva accusato il governo statunitense di complicità nell’attentato per via del silenzio da parte delle istituzioni di Washington sull’argomento. Sebbene l’attentatore sia stato fermato, infatti, per ora gli Stati Uniti non stanno dando vita a nessuna indagine per capire se dietro l’atto terroristico del singolo vi sia stato dell’altro. E non dobbiamo neppure dimenticare che gli Stati Uniti sono fortemente sospettati di aver sostenuto i recenti attacchi paramilitari contro il Venezuela, altro Paese inserito nella lista diffamatoria.

L’accusa rivolta contro Cuba, poi, risulta del tutto ridicola. Il governo dell’isola è infatti accusato di “non sostenere gli sforzi della Colombia per garantire una pace, sicurezza e opportunità giuste e durature per il suo popolo“, quando è noto a tutti che i colloqui di pace tra il governo colombiano ed I guerriglieri delle FARC-EP (Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia – Ejército del Pueblo) si sono svolti proprio a L’Avana, con la mediazione di Cuba e Norvegia, mentre gli Stati Uniti non hanno mosso un dito in questa direzione. Anzi, la sola pubblicazione della lista stilata da Washington ha provocato l’immediata reazione delle FARC, che hanno deciso di sospendere la propria partecipazione alle riunioni di pace in segno di protesta.

La risposta del ministro degli esteri cubano è stata assai eloquente, ed ha bisogno di ben pochi commenti aggiuntivi: “Il governo di Cuba ratifica che il territorio nazionale non è mai stato utilizzato né sarà utilizzato per ospitare terroristi di qualsiasi origine o per organizzare, finanziare o perpetrare atti di terrorismo contro qualsiasi Paese del mondo, compresi gli Stati Uniti. Allo stesso modo, rifiuta inequivocabilmente e condanna tutti gli atti di terrorismo, in qualsiasi luogo, circostanza e qualunque sia la motivazione addotta”, ha dichiarato Rodríguez Parrilla. “È il governo degli Stati Uniti che utilizza il terrorismo di stato come arma contro i Paesi che si oppongono al suo dominio, utilizza metodi riprovevoli come la tortura e sfrutta tecnologie militari avanzate, compresi i droni, per giustiziare senza processo presunti terroristi, compresi cittadini statunitensi, causando anche numerose morti di innocenti nella popolazione civile”, ha concluso.

La realtà, infatti, è che una lista di stati terroristi stipulata in maniera neutrale vedrebbe in prima posizione proprio gli Stati Uniti, che perseguono le proprie azioni criminali in tutto il mondo sprezzanti del diritto internazionale e della vita umana, seguiti da fidi alleati come Israele, che continua ad opprimere con metodi terroristici il popolo palestinese, l’Arabia Saudita, che con il benestare e le armi degli stessi USA finanzia gruppi terroristi in tutto il Medio Oriente ed in diversi Paesi africani, o la Colombiacampo base per le attività terroristiche contro il Venezuela.

Gli Stati Uniti hanno inoltre una lunga storia di terrorismo ed atti criminali perpetrati in tutto il continente americano, di cui l’esempio più noto è il fallimentare assalto alla Baia dei Porci, organizzato con il fine di destituire il governo rivoluzionario di Fidel Castro nell’aprile del 1961. Gli atti terroristici perpetrati o sostenuti dagli Stati Uniti nelle sole isole dei Caraibi hanno causato 3.478 morti e 2.099 disabili, ai quali vanno aggiunti danni materiali ed economici.

Anche il Venezuela, come Cuba, ha respinto ogni forma di accusa proveniente da Washington: “Il Venezuela rifiuta categoricamente il cinico segnale del governo suprematista di Donald Trump, fingendo di classificare il Venezuela come uno stato che non coopera nella lotta contro il terrorismo, pochi giorni dopo aver subito un’incursione armata a fini terroristici, con annessa partecipazione dei mercenari e compagnie statunitensi”, ha dichiarato Jorge Arreaza, ministro degli esteri della Repubblica Bolivariana.

Caracas ha giustamente fatto notare che l’esistenza stessa di questa lista rappresenta una violazione del diritto internazionale da parte degli Stati Uniti. Il governo venezuelano rifiuta, a ragione, di accettare che la Casa Bianca cerchi di valutare o certificare la condotta di un Paese in materia di terrorismo, essendo “il principale sponsor del terrorismo nel mondo“. Il Venezuela ha ufficialmente invitato il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e il Tribunale Penale Internazionale a indagare sulla promozione del terrorismo da parte degli Stati Uniti.

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